MARIO RIGHINI, PIONIERE ITALIANO DEL COLLEZIONISMO MOTORISTICO, È STATO IL PROTAGONISTA DI “MOTORI E SAPORI” A CASTELFRANCO EMILIA

Da sinistra, Giovanni Gargano (Sindaco di Castelfranco Emilia), Giuseppe Pottocar (Direttore Museo Nuvolari e AC Mantova), Alberto Scuro (Presidente ASI) e Mario Righini (collezionista). Foto: Dante Sergio Gibertini.

Sabato 10 settembre, Castelfranco Emilia ha ospitato la rassegna “Motori e Sapori” che unisce le eccellenze motoristiche ed enogastronomiche della provincia modenese. L’edizione 2022 di questa interessante kermesse è stata dedicata a Mario Righini, vero pioniere del collezionismo italiano. ASI, con il presidente Alberto Scuro che ha partecipato all’evento, ha voluto ulteriormente sottolineare la figura di Righini (con la sua straordinaria collezione visitabile presso il Castello di Panzano) consegnandoli uno speciale riconoscimento per la sua instancabile opera di tutela e divulgazione del motorismo storico.

Nel corso della serata, moderata da Beppe Boni, vicedirettore del Resto del Carlino, è stata ripercorsa la storia di Mario Righini intrecciandola con quella dell’ASI e sottolineando l’importanza del motorismo nello sviluppo del nostro Paese. Per celebrare anche i 130 anni della nascita di Tazio Nuvolari è intervenuto Giuseppe Pottocar, direttore del Museo Nuvolari e dell’AC Mantova.

Foto: Dante Sergio Gibertini.

Mario Righini, classe 1933, nato ad Argenta, in provincia di Ferrara, vive circondato dalle sue auto nella magica atmosfera del suo castello di Panzano di Castelfranco Emilia.

La sua è una collezione importante, con pezzi davvero rimarchevoli, uno per tutti la mitica Auto Avio Costruzioni 815, prima Ferrari della storia, Alfa 8C 2300 ex Tazio Nuvolari, Ferrari 275 GTB, Chiribiri del 1912, la gialla Ferrari 500 Sport, una strepitosa serie di Alfa 2500 6 cilindri, la Fiat 8V ex Gianni Agnelli, la Rolls Royce Phantom I 1929 appartenuta alla famiglia Rossi di Montelera e ancora Lamborghini 350 GT, Osca, Stanguellini, Cisitalia D46 e Daytona, Aurelia B24 convertibile e tante altre.

La sua collezione sfiora quota 200, fra auto e moto.

Lui è uno dei più noti demolitori perché solo qui si possono trovare ricambi per le auto del 1910, 1920, 1930, 1940 e via così per tutto il Novecento. “Il mestiere”, racconta, “l’ho imparato da papà Giovanni che aveva iniziato a farlo nel 1939, un anno prima dell’entrata in guerra dell’Italia. Allora le auto e i camion venivano demoliti per legge per ricavarne metallo che poi veniva destinato alle fabbriche di armi e munizioni. Chi rifiutava, rischiava tre anni di galera per sabotaggio”.

Così andò a finire all’italiana, con molti che nascosero le auto nelle cascine di campagna pur di non demolirle, aspettando tempi migliori. Ogni tanto, invece di fare a pezzi una macchina particolarmente interessante, Giovanni Righini, padre di Mario, pure lui grande appassionato, la metteva da parte, fornendo allo Stato, in cambio, un peso di materiale metallico equivalente.

“I miei libri sono stati la vita, gli incontri, la gente. E sono ancora convinto che la filosofia è quella cosa con la quale o senza la quale si rimane tale e quale”.

Righini trascorre gli anni dell’adolescenza nei campi Arar, dove venivano venduti i residuati bellici americani rimasti in Italia, troppo costosi da rimpatriare. “Mi ricordo l’Italia che cercava di tirarsi su e noi che l’aiutavamo installando impianti a metano su decine di auto e camion e convertendo le berline da famiglia in mezzi da lavoro come trattori o carioche”.

“Cinquanta, sessant’anni fa di un’auto si riciclava veramente tutto. Anche oggi non si butta via niente: acciaio, cristallo e plastiche vengono avviati ai consorzi di rigenerazione e riciclo per essere successivamente reimpiegati nei processi di produzione industriale, ma allora, quando si demoliva una macchina, era come in campagna quando si ammazzava il maiale”. Così le tappezzerie di molti modelli Lancia come Lambda, Artena e Astura erano una risorsa per tante famiglie perché le donne di casa riuscivano a ricavarne cappotti e vestiti in morbido panno Lenci. “Si svuotavano imbottiture, si scuoiavano le capote e se ne ricavava lana, ovatta, cotonina che madri e nonne trasformavano in materassi. Mi ricordo tanti amici orgogliosi del vestito della festa grigio, ricavato dagli interni Lancia” spiega il nostro testimone.

Ma non c’era solo un’Italia povera. Come sempre, qualcuno stava meglio degli altri. Uno di questi era Domenico Gentili, imprenditore emiliano titolare della Panigal (nome derivato da Borgo Panigale, vicino Bologna) che produceva saponette. Gentili era appassionato d’auto d’epoca e insieme all’amico Giulio Campari aveva incaricato un ex calciatore, Emilio Storchi, soprannominato Barighin, di girare l’Italia per procuragliele, setacciando soprattutto il Sud Italia. A San Martino arrivarono così Zedel, Chribiri, Alfa Dux, Alfa RL, Bianchi S9, Isotta Fraschini, Ford T, Osca, Ansaldo, Fiat 508, 509, 514, 527 e Lancia Lambda, Aprilia, Augusta, Artena. Fu lui, Gentili, a gettare le basi del Museo di San Martino in Rio, vicino a Reggio Emilia, che anticipò molte altre realtà. E fu sempre lui uno dei fondatori dell’‘Atomic Club’ di Bologna nel 1956, uno dei primi sodalizi per appassionati d’auto d’epoca, del quale faceva parte anche Mario Righini.

Il “colpo grosso” di Storchi fu il ritrovamento della Auto Avio Costruzioni 815, la prima Ferrari, otto cilindri e 1500 cc, due esemplari costruiti. Storchi risalì ad un aristocratico lombardo che aveva venduto la “815” a un demolitore milanese e da lui la acquistò per conto di Gentili. In seguito, gli affari di non ebbero fortuna e la Avio passò a Righini, che ancor oggi la custodisce nel Castello di Panzano.